sabato 6 febbraio 2010

Solitudini contemporanee

Sono schiavo dell' i-pod ormai da quattro anni.
La prima volta che l'ho usato era il 2006, l'Italia aveva appena vinto il campionato mondiale di calcio, erano le sette del mattino e io stavo andando a lavorare dopo una notte passata insonne a causa delle urla e dei botti dovuti ai festeggiamenti. Avevo trascorso la notte della vittoria chiuso in casa alla ricerca di un po' di pace, non sopportavo l'idea di decine di persone in piazza a esultare per una cosa così inutile soprattutto visti i gravissimi problemi in cui versava, e versa ancora oggi, l'Italia.
Su quel treno tutti avevano il giornale, non avevo mai visto la gente così euforica, quel treno che solitamente, alle sette del mattino, era silenzioso e sonnolento quel giorno vibrava di una, dal mio punto di vista, insopportabile eccitazione. Mi sedetti accanto a un signore che, subito, mi chiese se ero felice che l'Italia era campione del mondo. Lo guardai esasperato e gli dissi che non me ne fregava niente. Lui ci rimase malissimo, non potendo parlare di calcio con me cominciò a guardarsi intorno sino a quando non trovò qualcuno con cui condividere la machissima italica fratellanza (presente solo durante i mondiali di calcio). Vidi una signora che, anche lei esasperata, si metteva le cuffie alle orecchie e accendeva il suo i-pod, fu un'illuminazione, mi ricordai che anche io ne avevo uno nella mia borsa.
Da quel momento l'i-pod è diventato il mio modo per isolarmi dal mondo, un'abitudine terribile, me ne rendo conto solo ora.
Passiamo il nostro tempo ad isolarci dagli altri, stanchi, depressi, arrabbiati, cerchiamo di eliminare ogni tipo di contatto umano, la fisicità, quando non richiesta, ci irrita terribilmente.
Quando scendo dal treno e cammino nel sottopassaggio della stazione di Bologna, con le cuffie nelle orecchie, isolato in mezzo alla gente, penso sempre al film Zombi di Romero, è questa l'immagine che ogni giorno mi arriva alla mente.
Paradossalmente è più facile rapportarci con gli altri attraverso i mass media, su facebook parliamo e facciamo gli auguri di compleanno a persone che neppure conosciamo, “amici” virtuali con i quali, probabilmente, nulla abbiamo in comune. Mettiamo in una piazza virtuale i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri sentimenti, le nostre idee ma quando dobbiamo confrontarci fisicamente con qualcuno ci chiudiamo in noi stessi, ricorriamo ad altri espedienti tecnologici per ritrovare la nostra pace, siamo soli in un mondo in cui esserlo è proibito. Ci isoliamo dai presenti parlando al cellulare con gli assenti, evitiamo il confronto proteggendoci con la musica, siamo gentili con persone virtuali e intolleranti con chi ci sta fisicamente davanti.
A volte succede che la piazza “virtuale” si trasformi in piazza “reale” come è accaduto con il no Berlusconi day o come è accaduto con i tanti micro pride contro l'omofobia.


Ma il problema è decisamente più grande di quello che potremmo pensare perché l'errato utilizzo dei mezzi tecnologici ci sta rendendo apatici e insensibili. La cosa peggiore è che abbiamo dato questi strumenti, che neppure noi adulti riusciamo a “domare”, alle nuove generazioni.
Immaginate di avere quindici anni oggi, bombardati, da mattina a sera, da innumerevoli informazioni. Immaginate di aver visto la guerra in televisione sin da bambini, di aver visto la fame e la morte attraverso quello schermo piatto. Ormai siamo abituati all'orrore, tanto che neppure ci fa più effetto, tanto che se accade qualcosa per strada noi continuiamo nel nostro percorso. Quindici anni e tutto un mondo virtuale in cui nascondersi, un mondo virtuale in cui puoi essere ciò che vuoi. L'amicizia, l'amore, il sesso.
Tutto senza difficoltà.
Niente genitori, niente professori.
La vita virtuale è decisamente meglio, no? E per quella reale basta mettersi le cuffie alle orecchie e spararsi la musica al massimo.
Niente rotture, niente confronti.
Freddi e tecnologici.
Come macchine.

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Alice Boum © www.Blogger.com changed Un Blog di Disobbedienza Creativa by http://aliceboum.blogspot.com